Simone Di Conza
Osservare le composizioni di Rita Delle Noci significa innanzitutto porsi di fronte l’opera di un’artista che ha piena coscienza di sé, plasmata attraverso una rigorosa ricerca che dura da quasi cinquant’anni e che non lascia il minimo margine di dubbio sulla profonda riflessione poetica che accompagna il suo percorso artistico. Senza avere adeguata contezza del fatto che l’Artista abbia elaborato nel tempo una cifra stilistica tutta propria, assolutamente matura, figlia molto particolare della lezione novecentesca, si rischia di non avere gli strumenti adatti per cogliere appieno l’estensione della forza lirica di queste opere, né per soppesarne la dirompente carica di originalità nascosta fra le pieghe delle modalità esecutive solo apparentemente aderenti ad una linearità trasparente e quasi autodichiarativa. Occorre invece avvicinarsi con animo accorto alla voce dell’Artista, lasciandoci ammaliare dalla sua capacità poietica e ritrovandosi a rinvenire nella sua produzione una peculiare forma di grecità che si attua nella personale rielaborazione dei grandi modelli mitici e dell’eredità dei maestri senza nome dell’arte geometrica arcaica, ma con un gusto e una programmaticità che solo la contemporaneità può elaborare e che pertengono unicamente all’estro della Nostra.
Allora ecco che c’è una mano libera, sì, ma che rimane a suo modo implacabile, che detta il senso non di un’ossessione (come spesso accade in tanta parte dell’arte del Novecento) ma piuttosto di una consapevole vertigine che pervade le opere e che sembra trovare scioglimento solo nella perfetta esecuzione dell’ordito di moduli che le compongono: la china diviene allora un bisturi, esatto e perfetto nella sua algida capacità, ma ciò non riesce né vuole nascondere la passione latente, magmatica, che agisce sottotraccia e che rinviene sé stessa proprio nella sua sublimazione attraverso la regolarità del segno e la fitta tramatura. La modularità utilizzata come grimaldello delle tensioni; le immagini lievi e suggestive; il linguaggio ora sacro ed ora misterioso, arcano; la linea che detta allo sguardo sentieri che portano là dove l’Artista desidera condurci; le figurazioni umane che talvolta rievocano alcuni stilemi dell’Art Nouveau; tutto ciò concorre alla creazione di un mood, di una condizione di turbinosa sospensione, di un sapiente gioco di rimandi ed allusioni che raccontano il dialogo perpetuo fra mito e modernità, tra incubazione della grande dottrina antica e l’atto di subcreazione che è proprio dell’Artista autentico che in sé e nella sua opera rigenera e riplasma il senso del Divino.
Simone Di Conza